giovedì 12 ottobre 2017

Eredità classica e cultura cristiana in Flavio Magno Aurelio Cassiodoro di Don Antonio Tarzia*



Cassiodoro il Grande nacque attorno al 485-490 a Squillace, antica sede vescovile (come leggiamo in una lettera di Papa Gelasio) e capoluogo amministrativo della grande regio tertia (comprendente il Bruttium et Lucania secondo l’ordinamento augusteo). Squillace, adagiata sulle colline dell’omonimo golfo, si espone al sole come un “grappolo d’uva” pronto alla vendemmia. “Essa vede il sole levarsi dal suo luogo d’origine quando il giorno ormai vicino annuncia l’aurora” e sotto i raggi solari “risplende di una propria chiarezza di luce da far pensare che sia addirittura la patria del sole, superata la fama di Rodi” (Cassiodoro Senatore “Variae”, traduzione e note di Lorenzo Viscido, Luigi Pellegrini Editore, 2005, pag. 263). Così parla il calabrese Cassiodoro della sua città d’origine a cui resterà sentimentalmente legato per tutta la vita. Secondo le carte geografiche del tempo Squillace si specchiava sul Mare Adriatico invece che sullo Ionio non ancora identificato dai romani come Mare autonomo.
All’età di dieci anni troviamo Cassiodoro giovane a Ravenna dove alla scuola di corte di Re Teodorico studia lettere, storia e filosofia, avendo per compagna di scuola la piccola Amalasunta, figlia di Teodorico, terzogenita e futura prima Regina d’Italia. Suo padre che possiamo chiamare Cassiodoro III per distinguerlo dal nonno e dal bisnonno anch’essi impegnati in politica, è dall’anno 500 Praefectus Praetorio, quasi viceré del regno dei Goti “che si estendeva dalla Sicilia alle Alpi e oltre fino al Danubio austriaco e dalla valle del Rodano fino alla Dalmazia” (Antonio Sirago, “I Cassiodoro”, Rubettino Editrice 1988, pag. 78).
Il nome, come la famiglia, è di origine siriana e da alcune iscrizioni antiche si risale al culto di Giove Cassio, così detto da un’altura presso Antiochia su cui sorgeva il tempio: come Apollodorus, Heliodorus equivale a Dono a Giove Cassio, Cassiodorus.
Il bisnonno del nostro Flavio Magno Aurelio Senatore che per comodità diciamo Cassiodoro I, è un ricco proprietario terriero di Calabria che sollecitato da Bisanzio e Ravenna si organizza un esercito in appoggio alla marina di Bisanzio e sconfigge i Vandali che dalla Sicilia e dalla Calabria riparano a Cartagine e nel Nord Africa.
Nel 440 scoppia tra le armate romane un dissidio tra il generale Aezio che fa capo a Roma e quindi al Senato e ai ricchi proprietari terrieri, e Albino, uomo di Ravenna. Per mettere la pace tra i due ed evitare scontri armati, da guerra civile, viene mandato un diacono molto influente e convincente, Leone, che trova la via della pace e poi eletto papa sarà Leone I.
Tra i generali romani il più potente del V secolo è il latifondista Aezio, così ricco che combatte per Roma nella Gallia con un esercito suo che paga regolarmente. Si incontra con Cassiodoro I vittorioso in Sicilia e ne nasce una profonda amicizia fatta di stima, affetto e fedeltà. Diventano amici per la pelle anche i figli: Cassiodoro II e Carpilione (secondogenito di Aezio) che da piccolo è stato ostaggio degli Unni e ne conosce bene la lingua. I due rampolli dopo qualche anno si ritrovano insieme come ambasciatori presso il terribile Attila che è disceso dalle Alpi e minaccia guerra e sterminio. A rabbonire il barbaro (già allora una leggenda di ferocia e di tattica militare) arriva anche Papa Leone I.
Ci sono state tante concause, una insurrezione interna all’esercito unno, una flotta di Bisanzio in arrivo, le parole di Leone I e l’amicizia di Aezio e del figlio Carpilione col popolo unno… Attila risalì le Alpi e nel 453 fu trovato morto nella sua tenda.
Alla vittoria politica su Attila seguono gravi fatti di sangue e tanto scompiglio. Cassiodoro II si ritira dalla politica attiva per quasi un ventennio e va ad amministrare il suo patrimonio crescente, il suo latifondo che arriverà da Salerno a Reggio Calabria compresa la Sila e gli allevamenti di cavalli, bovini e asini (L’esercito di Ravenna cavalcherà per oltre un secolo sui cavalli provenienti dagli allevamenti dei Cassiodoro, signori di Squillace e nobili di Calabria).
Aezio che si crede il padrone dell’impero d’Occidente chiede a Valentiniano, imperatore di Bisanzio la mano della figlia Placidia per il suo figlio primogenito Gaudenzio. Ne ottiene un netto rifiuto e nel 454 il 21 settembre, mentre inerme si trova in udienza da Valentiniano questo, in un acceso diverbio diventato rissa, lo trafigge con la spada.
Il barbaro Genserico, re dei Vandali e degli Alani, approfitta del marasma e viene a saccheggiare Roma due volte in 17 anni: nel 455 e nel 472.
Gli imperatori e i re di Costantinopoli, Roma e Cartagine si uccidono e si incoronano a ritmo veloce. Poi Costantinopoli invia un suo imperatore a Ravenna Giulio Nepote nel 474 ma nello stesso anno Oreste, già segretario di Attila, depone il nuovo imperatore d’Occidente che si rifugia in Dalmazia. Mette sul trono di Ravenna suo figlio il giovanissimo Romolo Augustolo. Ma nel 476, appena due anni dopo, Odoacre, il nuovo uomo forte, mandato da Bisanzio, depone il ragazzo e lo manda prigioniero in una villa-fortezza in Campania che era già stata di Lucullo.
Cassiodoro III entrò giovanissimo nelle grazie di Odoacre che prima lo ha fatto ministro del tesoro imperiale e poi gli affida come “consularis” la Sicilia. Forse memore dei buoni uffici di Cassiodoro I, facendo addirittura una eccezione alla norma del diritto pubblico romano, lo nomina quindi corrector della Lucania e della Calabria sua regione d’origine.
Con gli alti pini della Sila e gli alberi che crescono sulle rive del Po, si costruiscono i navigli per il porto di Ravenna (Cassiodoro IV parla di 1000 tra natanti militari e commerciali) e i cavalli degli allevamenti calabresi forniscono l’esercito di Odoacre. Nel 500 Cassiodoro III è Prefectus Pretorio.
Dobbiamo a Cassiodoro IV il termine “moderno” (già usato in un documento pontificio, ma nell’eccezione di “nuovo”). Egli lo propone in tutta la ricchezza e la profondità di novità dinamica fiorita sulle radici di un passato che si protende verso il futuro, come un seme gioviale di speranza che anticipa certezze.
“È indubbio che Cassiodoro si dimostri un “umanista cristiano”. La sistemazione scientifica da lui compiuta sulla linea della paideia classica integrata dalle scienze cristiane e tramandata lungo tutto il Medioevo nel sistema del Trivio e del Quatrivio, costituirà la base della cultura del medioevo cristiano, specialmente in Occidente. Su tale base sorgeranno – almeno in parte – le scuole episcopali e monastiche post-carolingie, che a poco a poco si svilupperanno nelle Universitas Studiorum e negli Studia pubblica delle città a partire dai secoli XIII e XIV” (Cassiodoro, “Le Istituzioni”, Introduzione e traduzione di Antonio Caruso, Vivere In, 2003, pag. 289).
Dobbiamo a lui più che ad ogni altro se i religiosi dei monasteri europei nel tempo triste e lungo, delle invasioni barbariche e delle guerre, bizantine, delle epidemie varie e carestie periodiche hanno ravvivato il fuoco della scienza e del sapere salvando dalla dispersione e dalla distruzione i tesori culturali, i testi della sapienza e del pensiero greco e romano. I personaggi che loro hanno con fedeltà e amore tradotto, trascritto , copiato e con intelligenza divulgato, sono arrivati fino a noi e fanno radice forte del futuro culturale dell’umanità.
“A differenza di Boezio, idealista e teorico, Cassiodoro fu uno spirito eminentemente pratico. Tutti i suoi scritti derivano da impulsi esteriori e intendono servire a particolari bisogni o circostanze del suo tempo e del suo ambiente” (Cassiodoro, Le Istituzioni, presentazione e traduzione di Antonio Caruso, o.c. pag. 288).
Papa Benedetto XVI nella sua udienza del mercoledì 12 marzo 2008 dedicata alla catechesi dei Padri della Chiesa, scrisse di Cassiodoro: “uomo di alto livello sociale, si dedicò alla vita politica e all’impegno culturale come pochi altri nell’occidente romano del suo tempo. Forse gli unici che potevano stargli alla pari in questo suo duplice interesse furono il già ricordato Boezio e il futuro Papa di Roma, Gregorio Magno (590-604). Consapevole della necessità di non lasciare svanire nella dimenticanza tutto il patrimonio umano e umanistico accumulato nei secoli d’oro dell’Impero Romano. Cassiodoro collaborò generosamente, e ai livelli più alti della responsabilità politica, con i popoli nuovi che avevano attraversato i confini dell’Impero e si erano stanziati in Italia. Anche lui fu modello di incontro culturale, di dialogo, di riconciliazione” (Benedetto XVI, Cassiodoro il Grande, Associazione Centro Culturale Cassiodoro 2011 [per concessione Libreria Editrice Vaticana] pagg. 3-4).
Fu il sogno e l’utopia di Cassiodoro rilanciare l’Impero Romano sfilacciato e distrutto, almeno in Occidente, come un Regno di Unità Europea. Diceva lui che mettendo insieme le tre forze: Diritto romano, carità cristiana e potenza militare dei Goti si poteva aprire una nuova era e un potere politico forte, così da ipotizzare un lungo futuro di pace. Le invasioni dei nuovi popoli, con diversità culturali e religiose, erano così accolti e incorporati: tutti fratelli in una nuova Patria fondata insieme.
Ma questa che poteva essere una profezia restò utopia per le guerre varie e terribili che sconvolsero la penisola e le città singole sempre sotto assedio di qualcuno, da Genserico a Totila, dai Longobardi ai Bizantini.
Cassiodoro era amico dei Papi del suo tempo e da Senatore per titolo politico, oltre che per nome proprio, aveva un palazzo a Roma, dove abitava spesso tra un viaggio a Bisanzio e l’altro, tra gli impegni governativi a Ravenna e le visite politiche alle altre città come Napoli, Reggio Calabria, Tiriolo, Castrovillari, Cosenza e al nord Como, Genova, Milano e Venezia.
Bibliotecario ed editore: fu il primo uomo del Libro
Col Pontefice Agapito aveva progettato una grande Biblioteca che doveva ospitare le opere del passato, i mille volumi dei Padri della Chiesa, i commentari più famosi della Bibbia e le grandi collezioni del sapere laico, i trattati scientifici, le enciclopedie naturalistiche e gli erbari della salute. Solo dopo i suoi settant’anni  e dopo la prigionia di quasi quindici anni a Costantinopoli la Biblioteca si realizzò nel monastero di Vivarium con lo Scriptorium esclusivo e i cento e più monaci fratelli e discepoli dello statista, magistrato, storico e biblista calabrese. Sulle rive del fiume Pellene, ai piedi del monte Moscio, oggi Copanello, si accese questo faro di cultura che per almeno 500 anni illuminò il Medioevo d’Europa. Nello Scriptorium si lavorava con la pergamena, si traducevano e copiavano i rotoli degli antichi papiri con un impegno assiduo regolato nel tempo diurno dalle meridiane e nella notte illuminata dalle lucerne a olio, confrontandosi con l’orologio ad acqua. Nella lettera 45 del primo libro delle Variae rivolta a nome del Re Teodorico all’illustre Patricio Boethio Cassiodoro parla di questa scoperta tecnica e di Boezio tesse il più bel elogio personale: “Per lungo tempo, infatti, hai con tanto zelo frequentato le scuole ateniesi a tal punto… da rendere dottrina romana le teorie dei Greci. Tu hai imparato con quale profondo pensiero vada penetrata in tutte le sue parti la filosofia speculativa, con quale processo mentale si apprende nelle sue divisioni la filosofia pratica, trasmettendo così ai senatori romulei quel che di straordinario avevano fatto nel mondo i Cecropidi. Mediante le tue traduzioni vengono letti, come se fossero itali, il musico Pitagora e l’astronomo Tolomeo, si ascoltano come Ausonii l’aritmetico Nicomaco e il geometra Euclide; discutono in lingua latina il metafisico Platone e il logico Aristotele. Tu inoltre hai consegnato in veste laziale ai siciliani l’ingegnere Archimede… La purezza delle tue parole ha reso tanto splendidi quegli scrittori, l’eleganza della tua lingua tanto cospicui, che anch’essi avrebbero preferito le tue opere a quelle proprie se contemporaneamente fossero stati a conoscenza dei loro e dei tuoi scritti” (Cassiodoro, Variae, o.c. pag. 75)
[Scusate la lunghezza della citazione ma il convegno odierno ha per protagonisti i due pilastri culturali del V e VI secolo Boezio e Cassiodoro]
Concludendo il mio intervento per un ulteriore approfondimento raccomando la lettura del volume di Franco Cardini, Cassiodoro il Grande, Jaca Book 2009, pag. 85 e seguenti; pag. 139 e seguenti. Inoltre trovo come ottima informazione sul personaggio, la sua santità e il suo umanesimo, gli Atti del convegno “Cassiodoro vir religiosus, beatus, sanctus del novembre 2012 stampati a Catanzaro nel 2015 da Grafiche Simone sas.
Nel discorso di Benedetto XVI del 12 marzo 2008 (già citato) troviamo questa riflessione: A Cassiodoro “le vicende storiche [avverse] non gli permisero di realizzare i suoi sogni politici e culturali, che miravano a creare una sintesi fra la tradizione romano-cristiana dell’Italia e la nuova cultura gotica. Quelle stesse vicende lo convinsero però della provvidenzialità del movimento monastico, che si andava affermando nelle terre cristiane. Decise di appoggiarlo dedicando ad esso tutte le sue ricchezze materiali e le sue forze spirituali”.
Perché Cassiodoro chiamò VIVARIUM il suo grande monastero costruito a Squillace sulle rive del fiume Pellene? Per le vasche di Copanello, per il sistema di grotte marine sotto il Monte Moscio?
Raimon Panikkar, uno dei più grandi pensatori del secolo scorso, autorità indiscussa nella spiritualità e nel dialogo interreligioso, nel 1982 fondò a Tavertet, in Catalogna, sulle montagne dietro Barcellona, un importante Centro di studi interculturale che in onore a Cassiodoro chiamò VIVARIUM.
Padre Antonio Caruso, scrittore di Civiltà Cattolica e membro della Segreteria di Stato Vaticana nella sua opera Cassiodoro, Ed. Rubettino (già citata) a pag. 93 ci annota che il vescovo ravennate Pietro II, contemporaneo di Teodorico e anche di Cassiodoro, eresse in Ravenna l’Oratorio di S. Andrea, con splendidi mosaici all’interno e una interessante “costruzione collaterale a due piani con logge e arcature detta VIVARIUM” e conclude “nome certo di presagio per Cassiodoro” che viveva a Ravenna da prestigioso politico, sensibile all’arte musiva e all’architettura antica e del suo tempo.
Grazie per l’attenzione


Don Antonio Tarzia, giornalista e fondatore della rivista "JESUS"

* Dagli atti del Convegno "Severino Boezio e Flavio Cassiodoro: eredità classica e cultura cristiana" svoltosi con grande successo di pubblico a  Pavia lo scorso 29 settembre 2017.

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