Sarà fonte
di piacere, ristoro e saggezza, dopo aver passato insieme questa giornata di
primo autunno tra queste montagne alla ricerca di quella che fu un tempo una
delle vie del sale più note e battute dell’Appennino Ligure, concludere il
nostro incontro con una riflessione che liberi le nostre emozioni. Abbiamo
immaginato lunghe processioni di uomini e muli, carri trainati da buoi e
carretti trainati da cavalli, ininterrottamente, che percorrevano nei due sensi
questa via, segnandola profondamente fino al punto da modificare l’aspetto
naturale e paesaggistico del territorio.
Le vie del sale erano vie infinite che si
perdevano fino nel cuore dei deserti, solcavano i mari, discendevano e
risalivano i fiumi, scavalcavano le più alte nevose montagne e si inoltravano
nelle fertili pianure. Le carovane subentravano le une alle altre, guidate
ciascuno da persone di culture, tradizioni, costumi e fattezze diverse, come
atleti di una staffetta lunghissima che si passano l’un l’altro il testimone.
Come non
vedere in tutto ciò una rappresentazione dell’infinito cammino dell’uomo e del
progresso della società? È vero, in prima istanza gli uomini, spinti dal mero
bisogno e dalla necessità sono stati costretti dalla natura stessa ad
incontrarsi, a comunicare, a scambiarsi i loro beni e insieme ai beni si
trasferivano anche le parole, i linguaggi, le tecniche, le conoscenze, l’arte.
La materia e lo spirito progredivano insieme.
C’è una meravigliosa rappresentazione di
questo processi di incontro e fusione dei popoli e die loro cammini. Non l’ha
data un filosofo o uno storico, bensì un grande musicista. Tra noi si è parlato
spesso di armonia. E quale arte meglio della musica è in grado di esprimere il
concetto? Se qualcuno ne avrà il desiderio, provi dunque a riascoltare lo
schizzo sinfonico Nelle steppe dell’Asia
centrale di Aleksandr Borodin. Non è un brano molto lungo, ma nella sua pur
breve durata, l’orchestra descrive una storia fantastica, ossia l’incontro di
due carovane che procedono l’una provenendo dall’Occidente, l’altra
dall’Oriente. Quale stupendo e sempre attuale (forse oggi attualissimo) momento
di confronto! Le due carovane sono espresse da due temi musicali distinti: il
primo tema è enunciato nello stile occidentale, più marcato e deciso, mentre il
secondo tema rispecchia lo stile orientale, più languido e fluido. A mano a
mano che le carovane si avvicinano, sentiamo i due temi progressivamente
fondersi insieme in modo sempre più stretto, fin quando essi vengono suonati contemporaneamente, dando origine ad un contrappunto
perfetto. Infine di nuovo entrambi si distaccano e ciascuna carovana prosegue
nella sua strada, lasciando dietro di sé un filo di nostalgia.
La sorpresa è proprio questa: ciò che in
principio sembrava così diverso, estraneo, innaturale, era invece la parte
complementare dell’altro. Forse vediamo questa sintesi come utopia. Oggi le
carovane tra Occidente e Oriente sono carovane di guerra. E non è una novità!
Questa “lotta” risale agli albori della storia: si pensi alla spedizione contro
Troia o alla spedizione di Alessandro Magno (l’Occidente
contro l’Oriente) o, per moto contrario, si pensi alla battaglia di Salamina o
alle Termopili (l’Oriente contro l’Occidente).
Le guerre però sono i mezzi che conducono
gli uomini alla ragione e forse ad una ragione fino a prima inafferrabile.
Forse la guerra può diventare un mezzo per costruire una forte e consolidata
amicizia? Le nostre passioni sono tali per cui, spesso, le più ineluttabili
nascono da un travaglio favorito da quelle opposte. Così pensava ad esempio
Eraclito, nel suo elogio alla contesa (polemos)
madre di tutte le cose. Eraclito! Lo stesso che sosteneva che solo da un
contrasto può venire la migliore armonia. Chi conosce un poco di musica sa che
in effetti è vero. Quando una voce sale, l’altra scende, e il moto parallelo
delle parti è consentito solo date certe condizioni. “Armonia” non significa
uniformazione o conformismo. L’individuo va sempre considerato come una grande
risorsa di libertà e creatività.
Tratteniamoci ancora un poco su questi
concetti, soffermandoci a considerare questo gioco degli opposti che per ogni homme de désir significa essere in
cammino, significa mettersi in viaggio. L'immagine che rappresenta bene
l’inizio di questo viaggio è la malmessa figura del “matto” dei tarocchi che si
incammina dotato di un povero fardello dove è riposto solo l’essenziale. È però
anche la figura che impersonifica l’essenza pura dei contrasti. Egli sorride
mentre un cane lo morde, i suoi vestiti contrastano con lo stato di povertà, il
suo bastone, pur morto, germoglia, ma soprattutto il suo camminare sembra quasi
dirigersi verso un precipizio. La figura pare voler dire proprio questo:
“camminare” significa passare per opposte tensioni. Il valore della carta, come
è noto è zero! Infatti lo zero è il
risultato del conflitto di tensioni opposte che
si annullano.
Il cammino
per l’homme de désir è un continuo
attraversare il bianco e il nero del tappeto a scacchi della vita. È cioè
una linea continua che si sviluppa mediante il discontinuo, così come il tempo
fluisce pur nella scansione degli istanti, ciascuno dei quali è e subito non c’è più – sparisce per lasciar posto all’istante successivo il
quale, a sua volta, c’è e sparisce. Il bianco diventa nero e il nero diventa
bianco.
Come può una cosa nascere dal proprio
contrario? Eppure abbiamo molte testimonianze di queste conversioni. Il
filosofo ci insegna che se noi proviamo a pensare all’essere assoluto, ossia ad
una essenza universale che si adatta a tutte le cose (perché ogni cosa la
possiede) questo essere si converte immediatamente nel nulla, proprio per il
fatto che essendo tutto non può essere qualcosa di particolare. Ma non potendo
così venire determinato, ossia non potendo essere un “qualcosa”, l’essere non è più niente e si dissolve!
Quali altre conversioni? Sul piano morale,
un amore eccessivo, geloso, può diventare altrettanto funesto quanto l’odio.
Spesso i peggiori mali vengono proprio da coloro che si ergono a difensori del
bene assoluto. Gli opposti convergono e si attraggono con forza fatale, per cui per cui anche il perseguimento del bene
“assoluto” si converte infine in causa di atroci sofferenze (si pensi ad
esempio al cristianesimo, religione d’amore, che produce infine i milioni di
morti dell’Inquisizione, oppure alla Rivoluzione Francese, dove il principio di
fratellanza non è mai stato fatto valere per le vittime, innumerevoli, che
venivano spinte sulla ghigliottina). Viceversa, come nel caso dell’Innominato
manzoniano (ma anche nel caso di tanti episodi di santità), un esercizio
reiterato del “male” può provocare nel malvagio un pentimento e un disgusto
tanto profondo da convertire il peggior malandrino in benefattore.
Cosa può significare allora per noi la
“via del sale”, ossia la strada che porta e trasporta risorse e saggezza? Se
tutto ciò che è assoluto si converte nel suo contrario e se questo contrario,
essendo a sua volta assoluto, si riconverte nuovamente nel suo contrario, la
nostra vita si svolgerebbe in un infinito rimando di sentimenti oscillanti, che
richiamano alla memoria il catulliano odi
et amo. Da questo infinito contrasto non scaturisce nessun cammino, nessuna
strada, nessuna progressione, bensì un circolo vizioso.
Per questo, l’homme de désir,
l’Illuminato non può essere un assolutista. Aristotele raccomandava
piuttosto di ricercare il significato della “virtù” non nella assolutezza dei
valori, bensì nella via di mezzo.
Così il nostro camminare è un passare tra il bianco e il nero senza però
lasciarci catturare da nessuno dei due estremi. Chi si lascia catturare non
cammina più ed i suoi orizzonti si chiudono. La mente si oscura e perde il suo
bene più prezioso: la luce simbolo di
lungimiranza, ossia la capacità stessa di intravedere la strada.