martedì 28 giugno 2016

LE VIE DEL SALE - La ricerca del cammino nelle contraddizioni del nostro tempo

Sarà fonte di piacere, ristoro e saggezza, dopo aver passato insieme questa giornata di primo autunno tra queste montagne alla ricerca di quella che fu un tempo una delle vie del sale più note e battute dell’Appennino Ligure, concludere il nostro incontro con una riflessione che liberi le nostre emozioni. Abbiamo immaginato lunghe processioni di uomini e muli, carri trainati da buoi e carretti trainati da cavalli, ininterrottamente, che percorrevano nei due sensi questa via, segnandola profondamente fino al punto da modificare l’aspetto naturale e paesaggistico del territorio.
      Le vie del sale erano vie infinite che si perdevano fino nel cuore dei deserti, solcavano i mari, discendevano e risalivano i fiumi, scavalcavano le più alte nevose montagne e si inoltravano nelle fertili pianure. Le carovane subentravano le une alle altre, guidate ciascuno da persone di culture, tradizioni, costumi e fattezze diverse, come atleti di una staffetta lunghissima che si passano l’un l’altro il testimone.
Come non vedere in tutto ciò una rappresentazione dell’infinito cammino dell’uomo e del progresso della società? È vero, in prima istanza gli uomini, spinti dal mero bisogno e dalla necessità sono stati costretti dalla natura stessa ad incontrarsi, a comunicare, a scambiarsi i loro beni e insieme ai beni si trasferivano anche le parole, i linguaggi, le tecniche, le conoscenze, l’arte. La materia e lo spirito progredivano insieme.
      C’è una meravigliosa rappresentazione di questo processi di incontro e fusione dei popoli e die loro cammini. Non l’ha data un filosofo o uno storico, bensì un grande musicista. Tra noi si è parlato spesso di armonia. E quale arte meglio della musica è in grado di esprimere il concetto? Se qualcuno ne avrà il desiderio, provi dunque a riascoltare lo schizzo sinfonico Nelle steppe dell’Asia centrale di Aleksandr Borodin. Non è un brano molto lungo, ma nella sua pur breve durata, l’orchestra descrive una storia fantastica, ossia l’incontro di due carovane che procedono l’una provenendo dall’Occidente, l’altra dall’Oriente. Quale stupendo e sempre attuale (forse oggi attualissimo) momento di confronto! Le due carovane sono espresse da due temi musicali distinti: il primo tema è enunciato nello stile occidentale, più marcato e deciso, mentre il secondo tema rispecchia lo stile orientale, più languido e fluido. A mano a mano che le carovane si avvicinano, sentiamo i due temi progressivamente fondersi insieme in modo sempre più stretto, fin quando essi vengono suonati contemporaneamente, dando origine ad un contrappunto perfetto. Infine di nuovo entrambi si distaccano e ciascuna carovana prosegue nella sua strada, lasciando dietro di sé un filo di nostalgia.
      La sorpresa è proprio questa: ciò che in principio sembrava così diverso, estraneo, innaturale, era invece la parte complementare dell’altro. Forse vediamo questa sintesi come utopia. Oggi le carovane tra Occidente e Oriente sono carovane di guerra. E non è una novità! Questa “lotta” risale agli albori della storia: si pensi alla spedizione contro Troia o alla spedizione di Alessandro Magno (l’Occidente contro l’Oriente) o, per moto contrario, si pensi alla battaglia di Salamina o alle Termopili (l’Oriente contro l’Occidente).
      Le guerre però sono i mezzi che conducono gli uomini alla ragione e forse ad una ragione fino a prima inafferrabile. Forse la guerra può diventare un mezzo per costruire una forte e consolidata amicizia? Le nostre passioni sono tali per cui, spesso, le più ineluttabili nascono da un travaglio favorito da quelle opposte. Così pensava ad esempio Eraclito, nel suo elogio alla contesa (polemos) madre di tutte le cose. Eraclito! Lo stesso che sosteneva che solo da un contrasto può venire la migliore armonia. Chi conosce un poco di musica sa che in effetti è vero. Quando una voce sale, l’altra scende, e il moto parallelo delle parti è consentito solo date certe condizioni. “Armonia” non significa uniformazione o conformismo. L’individuo va sempre considerato come una grande risorsa di libertà e creatività.
      Tratteniamoci ancora un poco su questi concetti, soffermandoci a considerare questo gioco degli opposti che per ogni homme de désir significa essere in cammino, significa mettersi in viaggio. L'immagine che rappresenta bene l’inizio di questo viaggio è la malmessa figura del “matto” dei tarocchi che si incammina dotato di un povero fardello dove è riposto solo l’essenziale. È però anche la figura che impersonifica l’essenza pura dei contrasti. Egli sorride mentre un cane lo morde, i suoi vestiti contrastano con lo stato di povertà, il suo bastone, pur morto, germoglia, ma soprattutto il suo camminare sembra quasi dirigersi verso un precipizio. La figura pare voler dire proprio questo: “camminare” significa passare per opposte tensioni. Il valore della carta, come è noto è zero! Infatti lo zero è il risultato del conflitto di tensioni opposte che si annullano.   
      Il cammino per l’homme de désir è un continuo attraversare il bianco e il nero del tappeto a scacchi della vita. È cioè una linea continua che si sviluppa mediante il discontinuo, così come il tempo fluisce pur nella scansione degli istanti, ciascuno dei quali è e subito non c’è più – sparisce per lasciar posto all’istante successivo il quale, a sua volta, c’è e sparisce. Il bianco diventa nero e il nero diventa bianco.
      Come può una cosa nascere dal proprio contrario? Eppure abbiamo molte testimonianze di queste conversioni. Il filosofo ci insegna che se noi proviamo a pensare all’essere assoluto, ossia ad una essenza universale che si adatta a tutte le cose (perché ogni cosa la possiede) questo essere si converte immediatamente nel nulla, proprio per il fatto che essendo tutto non può essere qualcosa di particolare. Ma non potendo così venire determinato, ossia non potendo essere un “qualcosa”, l’essere non è più niente e si dissolve!
      Quali altre conversioni? Sul piano morale, un amore eccessivo, geloso, può diventare altrettanto funesto quanto l’odio. Spesso i peggiori mali vengono proprio da coloro che si ergono a difensori del bene assoluto. Gli opposti convergono e si attraggono con forza fatale, per cui per cui anche il perseguimento del bene “assoluto” si converte infine in causa di atroci sofferenze (si pensi ad esempio al cristianesimo, religione d’amore, che produce infine i milioni di morti dell’Inquisizione, oppure alla Rivoluzione Francese, dove il principio di fratellanza non è mai stato fatto valere per le vittime, innumerevoli, che venivano spinte sulla ghigliottina). Viceversa, come nel caso dell’Innominato manzoniano (ma anche nel caso di tanti episodi di santità), un esercizio reiterato del “male” può provocare nel malvagio un pentimento e un disgusto tanto profondo da convertire il peggior malandrino in benefattore.
      Cosa può significare allora per noi la “via del sale”, ossia la strada che porta e trasporta risorse e saggezza? Se tutto ciò che è assoluto si converte nel suo contrario e se questo contrario, essendo a sua volta assoluto, si riconverte nuovamente nel suo contrario, la nostra vita si svolgerebbe in un infinito rimando di sentimenti oscillanti, che richiamano alla memoria il catulliano odi et amo. Da questo infinito contrasto non scaturisce nessun cammino, nessuna strada, nessuna progressione, bensì un circolo vizioso.
      Per questo, l’homme de désir, l’Illuminato non può essere un assolutista. Aristotele raccomandava piuttosto di ricercare il significato della “virtù” non nella assolutezza dei valori, bensì nella via di mezzo. Così il nostro camminare è un passare tra il bianco e il nero senza però lasciarci catturare da nessuno dei due estremi. Chi si lascia catturare non cammina più ed i suoi orizzonti si chiudono. La mente si oscura e perde il suo bene più prezioso: la luce simbolo di lungimiranza, ossia la capacità stessa di intravedere la strada.

Anonimo lomellino del XX secolo  

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